L’India e il suo desiderio di architettura – Chandigarh

di Danilo Sergiampietri

Un viaggio alla riscoperta delle ultime fasi del Movimento Moderno nel sub continente indiano, da Le Corbusier a Louis Kahn, da Chandigarh a Dacca, passando per Ahmedabad ed alcuni aspetti dell’India classica in Rajastan, Uttar Pradesh e Gujarat. Un viaggio straordinario, fuori dai circuiti turistici tradizionali, che ci ha permesso di intravedere la realtà di un paese smisurato, ancora pieno di contrasti e contraddizioni, ma dove tutto sta cambiando ad una velocità impressionante, un paese orgoglioso di quello che sta facendo, giovane, dinamico, fiducioso nel futuro, autonomo. Con una popolazione di un miliardo e 400 milioni. Un paese con il sorriso.

La prima tappa è stata Chandigarh, non sapevo bene cosa aspettarmi ma il posto è bellissimo, alle prime pendici delle colline che poi diventeranno la catena dell’Himalaya. Gli edifici governativi di Le Corbusier sono totalmente isolati dalla città e immersi nel verde. Si dispongono liberamente nello spazio senza apparenti assi o simmetrie di riferimento, tutti gli spazi sono dilatati, tutto in India è dilatato. L’edificio dell’Alta Corte è difficile da fotografare al mattino, in totale controluce, emergono i tre imponenti setti colorati in verde, giallo e rosso. Non me li ricordavo colorati, forse li avevo sempre visti in foto in bianco e nero.

La Mano Aperta e la Fossa della Considerazione già valgono di per sé il viaggio. La manona di Le Corbusier vorrebbe essere un uccello e volare libera verso il cielo azzurro e le vette dell’Himalaya ma non può, è troppo pesante e può solo ruotare su se stessa, una leggera brezza, impercettibile a livello del terreno, la fa muovere leggermente e noi architetti siamo tutti entusiasti.

Il Monumento ai Martiri è simbolizzato da una enorme svastica in rilievo nel muro in cemento armato, è il primo approccio a questo simbolo che ritroveremo poi all’ingresso di quasi ogni casa di questa parte dell’India con un significato opposto a quello che noi diamo al logo nazista. Qui la svastica è il sole che ruota, la vita che avanza, augura buona fortuna a chi entra nella casa.

La Torre delle Ombre è un esercizio sul tema del frangisole lecorbuseriano, nella sua inutilità funzionale fa capire quanto sia importante il clima per progettare in questa parte del mondo e di come l’architettura debba prima di tutto confrontarsi con il percorso del sole durante lo scorrere del giorno e delle stagioni.

Nell’ampio, enorme, spazio davanti all’ingresso del Palazzo dell’Assemblea si sta svolgendo una rumorosa partita di cricket, sport nazionale. Forse Le Corbusier ne sarebbe contento, tutto il complesso governativo di Chandigarh è stato pensato per rappresentare un paese finalmente libero, indipendente e democratico dopo secoli di dominazione prima islamica e poi europea. Chiedo alla guida: “ma perché giocate a cricket? Ci giocate solo voi, tutti gli altri giocano a calcio.” E lui mi risponde: “Ma noi siamo più di voi”. In effetti il cricket, pur essendo giocato quasi solo nel sub continente indiano è il secondo sport più giocato al mondo, dopo il calcio.

Il prospetto principale del Palazzo dell’Assemblea è privo di ogni centralità o retorica, i setti in cemento armato del portico sono così sottili che sembrano dirti di muoverti, di spostarti dall’asse centrale per capire quanto sono profondi. In effetti, spostandosi, l’edificio prende vita e spessore. E’ quasi istintivo cercare la vasca d’acqua dove finalmente l’edificio si specchia nella sua interezza, è la foto che comprende tutto e dice tutto. Ci dice quanto è importante l’acqua in India, lo vedremo nei giorni successivi nei bellissimi pozzi induisti. Ci dice che qui quando piove, piove molto. Ci dice che qui la cosa più importante è proteggersi dal sole. Ci dice che siamo in India perché la forma della pensilina ricorda vagamente le corna delle vacche sacre.

A Chandigarh tutto è realizzato in un unico materiale, il cemento armato faccia a vista. A metà del secolo scorso si pensava che fosse il materiale eterno con cui si poteva fare qualsiasi cosa. Ora sappiamo che non è vero. Non sempre il cemento a Chandigarh ha resistito bene al clima estremo dell’India. Visto con occhi europei tutto avrebbe bisogno di manutenzione e restauro ma tutto ha anche un certo fascino decadente e rappresenta bene il tempo che passa e che è passato.

I giorni successivi sono dedicati alla visita della città e dei molti altri edifici progettati e costruiti da Le Corbusier e da suo cugino Pierre Jeanneret. L’impressione è che il progetto della città abbia funzionato. Gli ampi viali e le rotatorie delle strade a scorrimento veloce, certamente sovradimensionati negli anni del progetto, sono adesso adatti al rumoroso traffico indiano che qui scorre più velocemente che altrove. La facilità con cui cresce il verde fa sembrare Chandigarh una città giardino sia nei viali che nei parchi, mantenuti con grande cura. Appena varcato il confine della città progettata ci si trova di fronte al classico caos indiano ma questo non fa altro che aumentare il valore della pianificazione lecorbuseriana.

Parafrasando Giedion, si doveva costruire una nuova città, servivano un urbanista, un architetto, un’artista, uno scultore, un poeta. Queste cinque persone si trovano ad essere riunite in una persona sola: Le Corbusier.

Arch. Danilo Sergiampietri

Leave a Reply

Your email address will not be published.

Condividi post

Copia link negli appunti

Copy