Il Bangladesh e il suo desiderio di architettura – Dhaka

di Danilo Sergiampietri

Siamo a Dhaka, capitale del Bangladesh, città di 20 milioni di abitanti, una delle più popolose del mondo. E’ la tappa più attesa del viaggio. In India ero già stato nel 1992, Le Corbusier ha costruito quasi tutto in Europa ed è facile incontrarlo, di Louis Kahn non ho mai visto niente. Non avrei mai pensato di riuscire a venire qui, il Bangladesh non è ancora una meta turistica comune, qualche anno fa lo slogan dell’Ufficio del Turismo era “venite in Bangladesh prima che arrivino i turisti” ed in effetti di turisti occidentali, a parte noi, non ne abbiamo visti altri.

Tutte le mete del viaggio hanno una loro logica, niente è casuale. La prima e l’ultima, le più importanti, Chandigarh e Dhaka, sono strettamente legate al 1947, anno di indipendenza dell’India e di creazione del Pakistan Occidentale e del Pakistan Orientale (ora Bangladesh). I musulmani emigrarono verso i due nuovi stati del Pakistan mentre gli induisti si spostarono in India.

Ad Occidente, nello stato indiano del Punjab, c’era bisogno di una nuova capitale, Chandigarh, e venne chiamato Le Corbusier, ad Oriente, nel nuovo stato del Pakistan Orientale (ora Bangladesh) c’era bisogno di una nuova capitale, Dhaka, e venne chiamato Louis Kahn.

L’incarico a Kahn per la costruzione degli edifici governativi a Dhaka fu assegnato nel 1962, Le Corbusier iniziò al lavorare per Chandigarh nel 1950-1951. Ci sono solo una decina d’anni di differenza tra i due progetti ma in quegli anni qualcosa stava cambiando nella visione dell’architettura a livello mondiale ed i due risultati sono sostanzialmente diversi.

Le Corbusier, europeo, svizzero, poi francese, è cresciuto in un mondo intriso di storia, ma per esprimere il nuovo modo di vivere ed abitare che lui stava intuendo ad inizio del secolo scorso ha scelto di fare piazza pulita di tutto quello che c’era stato fino ad allora e di reinventare un nuovo linguaggio architettonico. Una lingua ha bisogno di un alfabeto, di lettere, di parole, di sintassi. Lui ha inventato il nuovo alfabeto, le nuove parole, le regole e le frasi con cui potevano esprimersi e capirsi non più solo i popoli occidentali ma tutti i popoli del mondo. Era l’utopia del cosiddetto Movimento Moderno od International Style. La nuova India indipendente ha chiamato Le Corbusier proprio per liberarsi dallo storicismo eclettico del linguaggio colonialista inglese e far esprimere le sue nuove istituzioni democratiche attraverso il nuovo linguaggio internazionale.

Louis Kahn era americano, anche se di origini estoni, ed è cresciuto in un paese, ad inizio novecento, sostanzialmente ancora privo di storia. Il suo percorso è contrario rispetto a quello di Le Corbusier, per sviluppare la sua sensibilità architettonica ha avuto bisogno del viaggio nella vecchia Europa, di vedere le città medievali fortificate francesi ed italiane, le rovine romane. Il suo è un percorso di riappropriazione della storia, non più di negazione. E’ l’inizio di qualcosa di diverso, di quello che, dopo alcuni anni, sarebbe ufficialmente diventato il cosiddetto Post Modernismo.

Entriamo nel quartiere governativo di Dhaka, l’unico vincolo è di non fare foto all’interno del Parlamento, peccato. E’ però una bella giornata, dalla cappa di smog che avvolge perennemente queste megalopoli emerge un pallido cielo azzurro che migliorerà le foto esterne. Ci avviciniamo da sud, il bianco, compatto blocco dell’Assemblea Nazionale comincia ad emergere dal basamento rosso dell’enorme scalinata in mattoni. Scendendo poi verso il lago artificiale i volumi geometrici dell’edificio si duplicano nel loro riflesso sull’acqua e danno un senso a tutto il nostro lungo viaggio, ad anni di studi e letture, alla nostra professione.

Tutto il Parlamento è fatto di un unico materiale, il cemento armato, sia fuori che dentro. Non so se sia mai stato restaurato ma si presenta in buone condizioni. La sostanziale differenza rispetto al cemento Lecorbuseriano di Chandigarh è che qui una sottile linea di marmo bianco “disegna” gli ipotetici conci di tutte le pareti, sia all’esterno che all’interno. Entriamo da un ponte ad arco in mattoni, a doppio livello, quello che doveva essere l’ingresso di servizio. L’interno è maestoso, spazi giganteschi a tutta altezza, quasi piranesiani, connettono le funzioni degli spazi perimetrali alla sala centrale dell’Assemblea. Non ci sono finestre che danno direttamente all’esterno, la luce è sempre filtrata dalle “camere di luce”, ovvero le torri con bucature geometriche che si vedono dall’esterno, che assorbono e mediano la luce.

Gli spazi e gli edifici secondari di contorno al Parlamento sono realizzati e pavimentati in un unico materiale, il mattone rosso. Tutto è costruito molto bene, i dettagli sono realizzati con cura, la manutenzione è impeccabile. Le bucature nelle pareti piene in mattoni sono realizzate con un cerchio intero o con un arco ribassato e diventeranno il marchio di fabbrica di Louis Kahn, alcuni suoi seguaci europei ci costruiranno sopra una carriera da archistar.

I riferimenti ad architetture storiche europee sono facili da cogliere, i castelli medievali con il fossato ed il ponte levatoio, Castel del Monte, San Gimignano, Carcassone, il Pantheon, i ruderi dell’architettura termale romana in mattoni. L’idea che mi viene dopo il viaggio in India è però un’altra. Dopo l’indipendenza il Bangladesh aveva bisogno di un simbolo nazionale, le architetture storiche più importanti erano rimaste in India. Mi sembra che la Dhaka di Louis Kanh possa essere il nuovo Taj Mahal del Bangladesh. Gli elementi ci sono tutti: l’importanza dell’acqua; un edificio principale bianco, candido, al centro di tutto; il disegno dei conci sul marmo bianco, un basamento rosso, qui in mattoni, ad Agra in arenaria rossa; gli edifici secondari, a contorno, tutti rossi; la pianta centrale, radiale; l’importanza data agli assi principali nord-sud ed est-ovest che aiutano sempre ad orientarsi in modo da individuare facilmente la direzione della Mecca ad ovest, il complesso meccanismo di mediazione della luce.

Louis Kahn accettava di lavorare con gli elementi del passato, di elaborarli, di esaltarli. Forse per un paese islamico come il Bangladesh è stata una fortuna aver scelto lui. Il Complesso dell’Assemblea Nazionale di Dhaka si inserisce a pieno titolo nella storia dei grandiosi interventi a livello territoriale che la dominazione islamica ha lasciato come patrimonio nel sub continente indiano. Visto con occhi occidentali è però bello che il Parlamento del Bangladesh rappresenti un paese ed una democrazia viva e vitale e non sia solo una tomba come il Taj Mahal.

Il progetto di Kahn era ancora più esteso di quanto è stato realizzato, prevedeva altri complessi governativi ed un ospedale. L’ospedale è stato costruito e l’abbiamo visitato. E’ l’ospedale pubblico della città, quindi invaso e circondato da una folla variegata. Alcuni componenti del nostro gruppo sono medici, anche esperti di interventi in paesi con emergenze sanitarie, e sono scappati. Noi architetti siamo entrati a fare le foto. Senza entrare nel giudizio sul funzionamento dell’ospedale, le foto sono belle.

Arch. Danilo Sergiampietri

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