Lo stupore e la meraviglia
di Danilo Sergiampietri
Sto passando l’aspirapolvere sul tappeto di casa in una domenica mattina luminosa quando, come per una madeleine proustiana, mi torna in mente un momento di pace e sindrome di Stendhal.
Istanbul, ultimi giorni dell’anno, il tempo è bello ma un vento gelido che sembra venire da chissà dove impedisce quasi di stare all’aperto, entriamo nella Moschea Blu, qui non fa freddo, il silenzio è totale, non c’è quasi nessuno, a un certo punto un uomo inizia a passare lentamente un piccolo aspirapolvere sull’immenso tappeto facendo quel piacevole ronzio che mi ricorda l’infanzia, la moschea ha enormi finestre a livello del pavimento da cui entra una forte luce, quasi estiva e dalle quali si vede a perdita d’occhio il mare dello stretto del Bosforo, di un blu intenso.
Non capisco se la Moschea si chiama così per il colore delle sue ceramiche o per il colore del mare che la circonda.
Avrei voluto rimanere lì per ore.
Il nostro studiare storia dell’architettura è fondamentalmente uno studiare la storia dell’architettura europea; almeno fino ad inizio del ‘900. Quando visito un edificio storico so esattamente cosa sto guardando, mi concentro sul tipo di colonna o di capitello, sulla forma dell’arco, sul tipo di pietra o la misura del mattone. So perché e quando quella cosa è stata fatta. La percezione dello spazio è spesso disturbata dalla miriade di dettagli da intercettare velocemente e da strati di cultura e storia da rispolverare. Questo succede in un ambito geografico tutto sommato piuttosto ristretto che va dalla Grecia al Portogallo, dalla Sicilia alla Gran Bretagna.
Basta uscire di poco, molto poco, e già a Istanbul, davanti a una moschea (escludiamo Santa Sofia) non si sa più cosa dire, arriva l’ignoranza: chi l’ha fatta? Quando? Perché è così? Mi sembra un po’ caotica, non c’è gerarchia. E l’aniconismo degli edifici di culto islamico accentua ancor di più la sensazione di spaesamento.
Questa perdita di riferimenti è però spesso molto utile, aiuta a vedere le cose diversamente, in un modo più ingenuo, innocente, emozionale.