A New York, dove l’architettura trova il suo habitat naturale

Immagino i primi coloni, giunti sulle coste vergini trovarsi di fronte ad un mondo nuovo, da immaginare e da costruire. Immagino stormi d’immigrati, circumnavigando i piedi di quella grandiosa statua affamata di libertà, percepire la crescita costante di colossi di ferro e vetro. Immagino le città che in tanti hanno immaginato e ne verifico retroattivamente il risultato concreto. Figlia illegittima del colonialismo sfrenato, hai rescisso il cordone ombelicale troppo presto, hai ucciso il padre e la madre e con le tue gambe hai percorso la strada dell’indipendenza. Lo scotto da pagare è evidente: sono tutti tuoi figli ma non ti prendi cura di nessuno. Sei terra viva, sei libertà di agire, sei una competizione continua dove i cavalli scalpitano nell’ippodromo infinito. Sei un gigante dai piedi di cristallo e per mantenerti in equilibrio devi continuare a correre, tenendo un passo precario ma spedito. Sei pura contraddizione, pura incoerenza; tu, terra degli Stati Uniti d’America, sei il luogo perfetto per gli eroi che non hanno paura di addentrarsi nell’incognito per dare nuova forma alle idee.
Manhattan è il più mirabolante laboratorio urbano e sociale che la mente umana abbia mai osato concepire. Una griglia dalle strette maglie per contenere l’intero spettro, sfumature impercettibili ad occhio umano. Una battaglia navale di pezzi che si affondano a vicenda e danno scena ad uno straordinario spettacolo. Metro dopo metro, il cielo si fa sempre più corto e poco importa se qualcuno precipita lungo l’ascesa: raggiungeremo presto la luna senza bisogno di alcun atterraggio. La profezia delle street e delle avenue si è avverata, il demiurgo urbanista ha tessuto filo su filo la trama prescritta. In questa terra di libertà non si teme il limite, nulla è mai troppo. Gli edifici non sono mai abbastanza alti, le strade non sono mai troppo lunghe, i parchi non sono mai troppo grandi. Chi non ha coraggio non è il benvenuto.
Nella città di New York l’architettura trova finalmente un suo habitat naturale, annullando per sempre l’essenza stessa della natura. Ma non per questo si tratta di un ecosistema biologico di minor valore: ci sono regole nuove, abitanti diversi e interazioni ancora da scoprire. Il tutto regolato dalla misura assoluta di questo luogo, il denaro. Per portare avanti le idee ci vogliono volontà di ferro, per sperimentare ci vogliono menti affamate, per costruire ci vuole materia ed energia. Il Martini cocktail del quale questo paese non è mai sazio: ad ogni sorso ne scaturisce un singolo evento architettonico, solo il tempo giudice decreterà se monumento o fallimento. Come tale Manhattan non può essere un modello ideale di città, non ne ha la volontà; non fonda le sue radici nell’utopia di una Ville Radieuse, con buona pace di ogni desiderio estintivo di Charles Edouard. Non esiste la città ideale ma, senza dubbio, esiste un cittadino ideale per ogni città.
Tutta l’isola è una cordigliera di torri dalle cime innevate che squarciano le nuvole per appropriarsi di uno spazio che di umano non ha quasi più nulla. Ai loro piedi le distanze si annullano, lo spazio congestionato rende a portata di un passo intere città verticali. La rigidità della griglia contrae lo spazio nella sola verticalità e rende impossibile ogni altro movimento per la moltiplicazione della superficie. In principio fu una guerra testosteronica alla conquista dell’erezione massima non poteva essere altrimenti. Oggigiorno è l’eleganza a motivare una concorrenza spietata, esili spilli si protraggono all’infinito: una delicata operazione chirurgica per un cambio di sesso immediato. E così Manhattan si rispecchia nel Partenone, centinaia di colonne a sorreggere la volta celeste.
Per le strade i piloti si scontrano con pedoni indisciplinati, guerriglieri inaspettati che sabotano il fluire continuo dei motori e arginano il deflusso a velocità da passeggio. Ma nelle torri invece la velocità è tutto, cento piani in cento secondi ed è subito record! Le idee fluiscono alla stessa velocità tra i neuroni e tra i pilastri, per quelli che ne sono tagliati fuori non resta che rimanere semplici esseri umani. Le moderne cattedrali non necessitano di guglie, i pinnacoli di ferro e cemento si possono scalare un piano per volta senza alcuna fatica. Dalla cima però il miracolo si capovolge, il desiderio di ascesa si placa e, in quella tranquillità, la voglia di tornare a sporcarsi le mani nella terra è più forte che mai. Mi chiedo se anche i santi possano pentirsi del paradiso.
That’s all, folks!