La memoria delle città memorabili
di Matteo Barreca
“Al di là di sei fiumi e tre catene di montagne sorge Zora, città che chi l’ha vista una volta non può più dimenticare. Ma non perché essa lasci come altre città memorabili un’immagine fuor del comune nei ricordi. Zora ha la proprietà di restare nella memoria punto per punto, nella successione delle vie, e delle case lungo le vie, e delle porte e delle finestre nelle case, pur non mostrando in esse bellezze o rarità particolari… Ma inutilmente mi sono messo in viaggio per visitare la città: obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, Zora languì, si disfece e scomparve. La Terra l’ha dimenticata.” Italo Calvino, “Le città invisibili”, 1972.
Sono passati circa dieci anni da quando un giovane studente liceale fu “obbligato” a leggere per la prima volta “Le città invisibili” di Italo Calvino, provando una certa noia e non comprendendone assolutamente il significato. Alla luce di tutti gli anni universitari e delle prime esperienze lavorative come architetto, mi ritrovo una sera ad averlo sotto mano, e decido di dare a quel piccolo “libretto” una seconda opportunità.
La prima cosa che penso dopo aver riletto i primi capitoli è: quanta lungimiranza nelle descrizioni di queste fantastiche e folli città! Immediatamente mi vergogno un poco della superficialità con la quale mi approcciai ad esso tanti anni fa.
Leggendo e rileggendo le parole di Calvino nel descrivere la città di Zora, ho immaginato di sostituirla con una qualunque delle nostre città italiane, e ho provato un grande timore. E se con il nostro atteggiamento protettivo, invece di salvaguardare la bellezza che tanti ci invidiano, la stessimo costringendo a rimanere “uguale a se stessa per essere meglio ricordata” fino a farla “languire, disfare e scomparire”?
Quello che si vede ormai con continuità sui giornali e sul web è l’aspra critica e la ridicolizzazione del lavoro di coloro che di bellezza si occupano per professione, gli architetti. Quante volte è capitato di constatare che il progetto vincitore di un concorso di architettura, l’unico vero strumento che possa garantire la qualità e l’eccellenza del lavoro svolto, rimanga intrappolato nel cosiddetto “polverone” dell’opinione pubblica, il quale costringe spesso le amministrazioni comunali a virare nella direzione dell’immobilismo.
Il coraggio di imporre la nostra cultura, la nostra storia e la nostra architettura con decisione è quello che ci ha resi promotori ed esportatori di bellezza in tutto il mondo; in un momento di crisi come quello in cui stiamo vivendo, non dovremmo dimostrare con più forza di essere ancora in grado di farlo, incominciando proprio dalle nostre città?
Giunto alla fine del romanzo, mi rendo conto di averlo letteralmente divorato, e capisco finalmente perché la mia professoressa ci tenesse particolarmente a farlo leggere a dei giovani e svogliati studenti liceali. Poco prima di dormire, mi ritrovo a pensare a tutti gli spunti di riflessione che mi ha regalato quel “libretto”, e la domanda che ronza nel cervello è solo una: quale altro piccolo tesoro mi riserverà domani la vecchia libreria di casa?