Cera una volta
di Danilo Sergiampietri
Nel gennaio 2018 ho presentato una mia mostra personale alla Galleria “Il Gabbiano” della Spezia da titolo “Cera una volta”. Sono particolarmente orgoglioso di questa mostra anche perché si è trattato di una delle ultime organizzate dalla Galleria, che ha definitivamente chiuso alcuni mesi più tardi, dopo ben 50 anni di attività. La personale era accompagnata da un catalogo a cura di Francesca Cattoi, Collection Registrar presso la Fondazione Prada di Milano, in cui raccontavo, sotto la forma di intervista, la mia visione dell’arte, ma soprattutto il conflitto irrisolto tra le due versioni della mia vita, quella in cui faccio l’architetto e quella in cui mi occupo d’arte.
Eccone un estratto.
Che rapporto c’è tra la tua professione di architetto e i momenti in cui ti dedichi al fare arte?
Ho sempre cercato di mantenere completamente distinti i due aspetti, quando sono in studio o in cantiere sono e faccio l’architetto, non mescolo mai le due facce della mia vita attiva. L’arte appartiene alla sfera in qualche modo segreta, che è stata nascosta a tutti per molti anni. Ho bisogno di ricavarmi dei momenti intimi e solitari per pensare e fare arte. In realtà le due “professioni” hanno molti punti in comune, specialmente nella prima fase progettuale sono molto simili e utilizzano i soliti strumenti informatici. L’importante è, però, che rimangano distinte e vengano svolte in due modi, tempi e luoghi diversi. In un progetto architettonico l’esecuzione dell’opera viene totalmente delegata a terzi, in arte mi piace invece pensare a progetti che possano essere totalmente realizzati da me.
Dalle risposte precedenti emergono le varie fasi del tuo operare e diventa più chiaro come interpretare e fruire le opere che realizzi. È evidente anche la diligenza, perseveranza e applicazione costante con cui ti dedichi al fare. Cercando di scoprire aspetti più intimi del tuo approccio, potresti delineare gli elementi guida della necessità di esprimerti attraverso l’arte?
In realtà, faccio la stessa cosa da tutta la vita. Fin da bambino disegno, progetto e costruisco oggetti, attrezzi e macchine, anche di una certa complessità. Disegnavo sempre, ero molto più bravo e spontaneo in prima elementare di quanto lo sia adesso. Durante gli anni in cui non esponevo, utilizzavo l’arte soprattutto per esprimere la parte più intima e nascosta della mia personalità, quella di cui non si può parlare, una specie di complemento dell’analisi, in effetti a volte è stato l’analista l’unico interlocutore. Adesso che il mio lavoro è diventato anche pubblico, le tematiche sono più adulte, sovrastate da una impalcatura culturale, storica, filosofica, letteraria, ma sotto sotto c’è sempre la immutata necessità di cercare se stessi. Inoltre se nei primi tempi le tematiche affrontate partivano da spunti personali, i miei dubbi, le paure, e quindi i lavori che ne risultavano erano molto personali e intimi, forse ancora tardo adolescenziali, nella fase successiva, dopo il 2001, che è anche quella odierna, le tematiche sono di altro tipo, apparentemente meno personali, e le ricerco all’interno del percorso della storia dell’arte o, più in generale, della storia.