Il Brasile e il suo desiderio di Architettura: Oscar Niemeyer e Brasilia

a cura di Danilo Sergiampietri

Ancora un viaggio alla scoperta delle molteplici facce del Movimento Moderno in giro per il mondo. Dopo aver visto le opere di Le Corbusier e Louis Kahn nel sub continente indiano non potevamo non andare in Brasile a vedere, dopo Chandigarh e Dhaka, l’ultima delle capitali realizzate ex novo dagli architetti novecenteschi, Brasilia.  

Anche il Brasile, come l’India, è un Paese gigantesco, ancora poco frequentato dal turismo internazionale. A parte Rio de Janeiro, il carnevale e la spiaggia di Copacabana i numeri del turismo brasiliano all’interno dei flussi turistici mondiali sono modesti. È difficile trovare qualcuno che parli inglese anche negli aeroporti. Le città brasiliane hanno la fama di essere tra le più pericolose del mondo e forse questo non aiuta. Sono città infinite, San Paolo ha più di 22 milioni di abitanti e non si riesce a percepire per intero neanche dall’aereo, le contraddizioni sociali e le differenze tra poveri e ricchi sono palpabili e si finisce per stare continuamente in allerta.   

Le aspettative per il viaggio sono alte, la curiosità di arrivare a Brasilia e vedere dal vero questa città ideale del Movimento Moderno fanno superare anche difficoltà fisiche personali occorse durante il viaggio. Un viaggio che, dopo Rio de Janeiro, si complica, diventa sincopato, ma porta comunque alla sua meta finale. 

Chi ha studiato negli anni 80-90 del secolo scorso si porta dietro alcuni pregiudizi di critica architettonica, non mi ricordo di aver mai sentito parlare con grande entusiasmo di Oscar Niemeyer, mi sembra che non esistano monografie importanti su di lui e le poche pubblicazioni che si trovano adesso sono libretti divulgativi e superficiali dove tutto è dichiarato, acriticamente, un capolavoro. Sono invece certo di non aver mai letto un giudizio pienamente positivo su Brasilia, la critica italiana ortodossa modernista ne ha sempre evidenziato apertamente le criticità, sia dal punto di vista urbanistico che architettonico. 

Il percorso del Movimento Moderno in Brasile ed in tutto il sud America inizia in un luogo ed una data precisa: a Rio de Janeiro nel 1936 un gruppo di architetti brasiliani fra cui Lucio Costa ed un giovanissimo Oscar Niemeyer ricevono l’incarico per la costruzione del nuovo Ministero dell’Educazione e della Sanità, come consulente esterno viene chiamato Le Corbusier, sempre lui, che indirizza il gruppo verso la progettazione di un blocco compatto di 16 piani di evidente derivazione Lecorbuseriana, con il prospetto Nord completamente schermato da lamelle frangisole orizzontali orientabili ed il prospetto sud completamente vetrato (siamo a sud dell’equatore e le esposizioni, come le stagioni, sono invertite). 

Andiamo a vedere l’edificio in un tardo pomeriggio di fine aprile, è domenica, nel quartiere ci siamo solo noi. La nostra guida locale, Publio, si ferma ad un incrocio, indica alcuni edifici lì vicino, il Teatro Municipale ed il Museo Nazionale delle Belle Arti, realizzati all’inizio del ‘900 in un pesante stile eclettico, e dice: “that is old European architecture, this is new Brasilian architecture” e ci fa vedere, con orgoglio, il blocco Lecorbuseriano del Ministero. 

Il Brasile, come l’India, aveva necessità di sganciarsi dall’influenza coloniale europea e lo ha fatto adottando proprio il nuovo linguaggio modernista di questi due giovani architetti, Lucio Costa ed Oscar Niemeyer, ai quali, venti anni dopo, nel 1956, ha addirittura dato l’incarico di progettare e costruire dal nulla, nel nulla, la nuova capitale del paese, Brasilia, inaugurata poi il 21 aprile del 1960. 

Oscar Niemeyer è vissuto 105 anni, ha progettato e costruito centinaia di edifici. Il viaggio per Brasilia è lungo e passiamo da San Paolo, Curitiba, Rio de Janeiro, Ouro Preto, Belo Horizonte, Salvador de Bahia. Ovunque ci sono opere di Niemeyer, alcune mai viste, molte straordinarie, altre poco entusiasmanti (le ultime). Servirebbe una rivalutazione ed una catalogazione seria del suo lavoro. Un lavoro in cui si riconosce un’intera nazione, una nazione grande due volte l’Europa. 

Finalmente arriviamo a Brasilia. Siamo in un altipiano a circa 1200 metri di altezza, nel cuore geografico del paese. L’aria è tersa come in montagna. L’aeroporto è molto vicino al centro città, percorriamo una strada a sei corsie con il traffico che scorre fluido e tranquillo con continui svincoli, sottopassi e cavalcavia, non ci sono incroci, non ci sono semafori, non ci si ferma mai, ogni possibile direzione è stata programmata, la città è stata concepita per le auto, si vede e funziona.  

Le strade sono circondate da enormi aree verdi tenute benissimo, l’erba è di un colore intenso, intervallata da gruppi di alberi o singoli, maestosi, ficus con le loro radici aeree, la terra è di un colore rosso sangue. È un mondo diverso da quello visto sinora in Brasile, tutto è estremamente pulito e curato, sembra di essere nel nord Europa. 

Nella cura dei prati un piccolo aiuto lo danno i Capibara, grossi roditori che se ne stanno tranquillamente in gruppo, tutto il giorno a brucare l’erba, in preferenza nelle vicinanze dei laghi. E Brasilia è quasi totalmente circondata da un lago, artificiale come tutto il resto. 

La prima tappa è la Cattedrale, l’opera forse più conosciuta di Niemeyer. Se ne capisce il preciso concept progettuale solo girandoci intorno, sedici archi iperboloidi in cemento armato, 15 settori in vetro di tamponamento tra gli archi, una sottile vasca d’acqua su tutto il perimetro. Solo tre materiali: cemento, vetro e acqua (come a Chandigarh, come a Dhaka), non ci sono finestre, non ci sono porte, pura astrazione architettonica. Quella che si vede è solo la parte emergente del complesso, la vera “chiesa” è ipogea, vi si accede da una rampa che poi diventa tunnel. Sotto ci sono la sala circolare, il battistero e tutti gli spazi tecnici e di servizio non visitabili. Giro intorno, guardo, cerco di capire, faccio foto, mi godo il momento. Mirco mi chiama, urla, siamo in ritardo, dobbiamo andare, ma io ho rischiato grosso per arrivare fino a qua.  

Andiamo a dormire nella zona degli hotel vicino al lago, il nostro lo ha progettato Niemeyer, bello, semplice, razionale, immerso nel verde. Anche quello di Ouro Preto, dove abbiamo pernottato alcuni giorni prima era stato disegnato da Niemeyer, uno dei suoi primi lavori. Entrambi gli hotel sono ancora di chiara radice Lecorbuseriana nella loro bianca linearità e piacciono molto a noi architetti.  

Le aree residenziali della città sono organizzate in Quadras e Superquadras, ogni Quadra è raggiungibile da una sola strada, è quindi facilmente controllabile, chi vive a Brasilia ci dice di sentirsi molto più al sicuro qui che nelle altre città brasiliane. Andiamo a vedere il Superquadra SQS 308, ci sono i negozi, il parco, i blocchi residenziali e la piccola chiesa di Niemeyer che si inventa sempre qualcosa di interessante. I blocchi residenziali sono piccole unitè d’habitation, organizzate su quattro piani, su piloties, con il piano terra permeabile, ben rifinito, con molti azuleios, tirato a lucido, quasi lussuoso. Agli appartamenti si sale con l’ascensore. Tutto è immerso nel verde e nel silenzio, a Brasilia è vietato suonare il clacson. Non ci sono cancelli, recinzioni, proprietà private, sistemi di allarme, filo spinato. Anche qui l’impressione è molto positiva e rimane la sensazione di essere nel nord Europa. 

La visita alla città istituzionale inizia dal cuore pulsante del Paese, il Congresso Nazionale del Brasile, posizionato al centro dell’Asse Monumentale, con le due “cupole” del Senato Federale e della Camera dei deputati e la torre binata degli uffici. Bello, bianco splendente, iconico. Il Brasile è una Democrazia e l’edificio si può visitare anche allinterno. Risulta però difficile arrivarci a piedi, è pensato per essere raggiunto principalmente in auto: le corsie di accosto per i taxi ricavate sotto alla pensilina, la hall vetrata di ingresso a doppia altezza, la fila per il controllo dei documenti, il passaggio dal metal detector, i divani dell’area di attesa, la chiamata per la visita, tutto fa pensare ad un aeroporto e forse non è casuale, la forma della città disegnata da Lucio Costa, in una visione semplicistica, è proprio quella di un aereo. 

Gli altri edifici istituzionali, satelliti del Congresso Nazionale, sono tutti concepiti nel medesimo modo: un nucleo centrale a più piani, completamente vetrato, contenente tutte le funzioni necessarie (la cella), un perimetro esterno colonnato con un “ordine gigante” a tutta altezza (il peristilio). Il riferimento concettuale al tempio greco viene ancor più evidenziato dal colore chiaro degli elementi architettonici perimetrali.  

Tutta la città è limpida, in un perfetto stato di conservazione, sembra sia stata appena inaugurata. 

Nel Palazzo Itamaraty, sede del Ministero degli Esteri, il colonnato perimetrale viene risolto con l’uso di una sequenza continua di archi in cemento armato faccia a vista. L’edificio dev’essere piaciuto molto a Giorgio Mondadori che ha chiamato Niemeyer per il progetto della sede della Mondadori a Segrate. A Brasilia il passo degli archi è costante mentre a Segrate è variabile. 

Ma i veri capolavori di Niemeyer sono il Palazzo Planalto, sede della Presidenza della Repubblica, il Tribunale Federale e l’Alvorada, residenza del Presidente della Repubblica situata fuori città, sul lungolago, vicina al nostro albergo. 

In questi edifici Niemeyer si libera da ogni vincolo compositivo o strutturale e da ogni regola dettata dal razionalismo. L’architettura vola libera nello spazio, bianca, pura, non si capisce di cosa è fatta talmente è leggera, forse di carta o forse è sorretta dal vento.  

I pilastri sagomati a vela di Palazzo Planalto, del Tribunale Federale e dell’Alvorada si assottigliano fino quasi a sparire sia nell’appoggio a terra che nel sostegno alla soletta di copertura. La soletta di copertura stessa, già visivamente troppo sottile, raggiunge luci libere non contemplate dalla fisica e dalla statica: nella facciata principale del Tribunale Federale la luce libera è di circa 60 metri, stessa misura nel prospetto laterale di Planalto, forse ancora di più. 

I pilastri che portano le solette certamente da qualche parte ci sono ma non è questa la cosa importante. È un’architettura che gioca con sé stessa, un’architettura ambigua, che non dice chiaramente come stanno le cose, a cosa servono gli elementi che la compongono. 

Forse è per questo che la critica modernista del secolo scorso ha snobbato Niemeyer, si cercavano certezze, razionalità, funzionalità, leggibilità. Le complessità e le contraddizioni sono arrivate più tardi. 

Niemeyer non era tedesco, non era europeo, era sudamericano e si è liberato subito dal rigore del modernismo europeo per intraprendere una sua strada più libera, morbida e sinuosa. Per Oscar progettare era anche un gioco, non prendeva poi molto sul serio il suo lavoro. 

Oggi non abbiamo più certezze, l’architettura deve stupire, spesso è solo una questione di “pelle”, a nessuno importa di come è fatta. Oggi vediamo Niemeyer con occhi diversi e lo apprezziamo di più, ci piace la sua ambiguità. 

“Quand on fait de l’architecture, on s’amuse” 

Oscar Niemeyer 

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