Sacro Monte di Varallo

di Danilo Sergiampietri

Sacro Monte di Varallo, Valsesia, Prealpi piemontesi.
Un luogo fuori dal “nostro” tempo, sito Unesco dal 2003, ma poco conosciuto. Ne parla spesso Sgarbi ed è proprio dalla lettura di un suo libro che è scattata l’urgenza di andare a vederlo.

Non c’è quasi nessuno. Lungo il percorso delle 44 Cappelle che lo compongono incontriamo più volte una signora molto devota e molto loquace che, sgranando il rosario, ce ne racconta la storia.
I Sacri Monti sono stati concepiti verso la fine del ‘400 per sostituire i pellegrinaggi in Terra Santa, diventati pericolosi, e realizzati in zone montuose che presentano alcune caratteristiche simili ai luoghi originali dei racconti evangelici. In particolare i Sacri Monti piemontesi e lombardi si attestano ai piedi delle Alpi come avamposto Cattolico a protezione della presunta invasione da Nord dei Protestanti, fino ad alcuni decenni fa, ci dice la signora (senza mai guardarmi), si faceva una normale manutenzione e pulizia delle Cappelle, magari sulla base di piccole donazioni private, ora non è più possibile “da quando ci sono l’Unesco e l’ONU è un disastro, si fanno solo interventi consentiti dalla Sovrintendenza, ma siccome servirebbero fondi enormi e non ci sono, il risultato è che non si fa più niente: la colpa è dell’ONU, vogliono la laicizzazione del mondo, ci vogliono cancellare!”.

Le Cappelle sono concepite come un gigantesco apparato scenografico in cui il Pellegrino, spesso analfabeta, poteva immergersi fisicamente per vivere direttamente all’interno delle ricostruzioni delle principali scene raccontate dai Vangeli. Un apparato in cui scultura, architettura, pittura e teatro si integrano uno con l’altro fino a diventare una cosa unica.
L’intento principale era devozionale, didattico e popolare, ma la qualità di tutti gli interventi artistici è talmente elevata che alcune cappelle sono una della esperienze più coinvolgenti che esistano.

Come giustamente ci fa notare la signora devota, il livello di manutenzione è pessimo, inoltre non si può più entrare nelle Cappelle: si possono solo sbirciare da alcuni buchi ricavati in un reticolo di recinzioni, inferriate, griglie e reti che si sono sovrapposte nei secoli. La percezione degli interni è scomoda e parziale, ma questo forse ne accresce ancora di più il fascino.

Dal punto di vista architettonico le Cappelle sono molto interessanti, sono piccoli edifici autonomi senza nessuna funzione se non quella di contenere una scena. Scevri da quasi ogni ordine funzionale, gli architetti hanno potuto liberamente sperimentare molteplici soluzioni di accostamento e sovrapposizione di rigorose geometrie rinascimentali. In alcuni angoli del percorso sembra quasi di vivere in uno di quei quadri di città ideale che hanno caratterizzato l’inizio del Rinascimento (si fa sempre prima a dipingere che a costruire).

Esperienza indimenticabile, con un unico rammarico: la nostra è ormai una visita colta, artistica, storica, ma soprattutto laica. La mancanza di una vera devozione toglie molto, o quasi tutto, al significato originale del percorso.
Il Sacro Monte di Varallo non voleva essere un Museo.

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