Palladio
e il paesaggio artificiale

di Danilo Sergiampietri

In questi giorni è uscito uno di quei film sull’arte che vengono proiettati solo per alcune sere, o peggio ancora nel pomeriggio. Il film è su Andrea Palladio, vale assolutamente la pena vederlo e mi ha dato l’opportunità di ripensare ad alcuni aspetti paesaggistici del suo edificio forse più famoso, la Rotonda.

La prima regola in architettura è quella di non fidarsi troppo delle foto, dei disegni e di quello che si studia. L’architettura va vista dal vero, percorsa, toccata, respirata, vissuta.

Nel caso di edifici famosi spesso le foto che si vedono sono molto simili tra di loro, rappresentano il lato più significativo, quello meglio esposto o quello più facile da inquadrare. Bisogna invece sempre andare a vedere cosa c’è dietro, cosa non ti fanno vedere, il lato nascosto.

La cosiddetta Rotonda di Palladio, in realtà Villa Almerico Capra a Vicenza, è l’edificio scenografico che tutti conosciamo, a pianta centrale con cupola e quattro pronai aperti verso il paesaggio, costruito in un sito di“felicissima condizione naturale, posto sopra un monticello di ascesa facilissima et circondato da amenissimi colli che rendono l’aspetto di un molto grande theatro”.

La Rotonda di Andrea Palladio

L’ultima volta che l’ho visitata non era possibile accedere agli spazi interni, ho così avuto il tempo di passeggiare con calma nei dintorni della villa e di cogliere meglio gli aspetti paesaggistici del progetto, al di là della qualità architettonica dell’edificio in sé stesso.

L’impressione è stata quella di un progetto di assoluta contemporaneità e complessità. La collina su cui poggia la villa ha ben poco di naturale, si tratta in realtà di un suolo artificiale pensato e costruito in funzione della valorizzazione dell’edificio. Gli ampi spazi verdi che si vedono in quasi tutte le foto si aprono solo su due lati, gli altri due hanno muri di sostegno posti molto vicini all’edificio e non vengono mai rappresentati. La collina stessa è un suolo parzialmente costruito, al di sotto del quale sono ricavati spazi scenografici quali grotte e porticati, ma anche ampi ambienti adibiti a magazzini, cantine, granai, stalle e ricovero carrozze. Letto in termini contemporanei al piano interrato c’era l’autorimessa.

Un particolare della Rotonda di Andrea Palladio

Mi è sembrata una modalità di progettazione molto simile a quella affrontata oggi dagli architetti di tutto il mondo. Mi viene in mente Renzo Piano, un precursore dell’integrazione tra architettura e paesaggio, con il Centro Paul Klee a Berna dove edificio e colline artificiali si fondono uno nell’altro, oppure con la Fondazione Stavros Niarchos ad Atene dove quasi tutti gli spazi utili sono ricavati sotto al grande piano inclinato verde.

Centro Paul Klee a Berna

Fondazione Stavros Niarchos ad Atene

Per non parlare del Bjarke Ingels Group (BIG) che sta portando all’estremo il concetto di integrazione edificio/natura: nei suoi progetti non è l’architettura ad adeguarsi al terreno, ma sono gli edifici stessi che creano un nuovo paesaggio artificiale, fino a diventare anche piste da sci.

Bjarke Ingels Group

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